
Roberto Baggio, un framma che nessuno ipotizzava (Foto Instagram - ilpallonaro.com)
Roberto Baggio il divin codino, sorridente, solare ha in sè un dramma che nessuno poteva sospettare. Ecco cosa ha svelato in queste ore.
Ci sono storie che il tempo non riesce a chiudere, ferite che non si rimarginano mai davvero. Storie che restano lì, appese a un istante, a un fotogramma preciso. E quella di Roberto Baggio è una di queste. Un racconto che ha dentro il genio e il tormento, la gloria e la sconfitta, l’amore sconfinato di un popolo e il silenzio interiore di chi, in fondo, non è mai riuscito a fare pace con se stesso.
Baggio è stato un artista in mezzo al campo, un poeta del pallone capace di incantare con un controllo, un tocco, una giocata che sembrava scritta più col cuore che con i piedi. Lo chiamavano il Divin Codino non solo per la sua chioma legata dietro, ma perché sembrava davvero arrivare da un’altra dimensione.
Roberto Baggio e il dramma che nessuno conosceva
Nessuno giocava come lui. Nessuno portava con sé quella malinconia, quella luce fragile che lo rendeva così diverso da tutti. Tutti hanno un momento che li segna per sempre. Per Baggio è accaduto trentuno anni fa, in una notte d’estate che avrebbe potuto trasformarsi nella più bella della sua vita. Invece si è trasformata in una condanna silenziosa, in un ricordo che non smette mai di ripresentarsi. Era il 1994, finale del Mondiale contro il Brasile.

Una partita che aveva retto l’urto dei novanta minuti e dei supplementari, e che si decise ai rigori. Baggio, il migliore, quello che aveva portato l’Italia fino a lì trascinandola a forza con i suoi gol e le sue magie, si presentò sul dischetto. Bastarono pochi secondi per cambiare tutto. Il suo tiro finì alto. E con quel pallone che volava sopra la traversa, svanirono il sogno Mondiale, il titolo di miglior giocatore del mondo e – quasi beffardamente – anche il secondo Pallone d’Oro.
Un’intera carriera compressa in un tiro. Un sogno che inseguiva da bambino e che si frantumò in quel momento. Da allora, tutta l’Italia ha imparato ad amarlo ancora di più. I suoi compagni di squadra l’hanno abbracciato, l’allenatore lo ha difeso, i tifosi non l’hanno mai lasciato solo. È diventato un simbolo, nonostante tutto. O forse proprio per quel tutto. Però lui no. Roberto Baggio non si è mai perdonato. Nonostante le parole, gli applausi, i film, i libri, i cori. Lui quel rigore lo sogna ancora.
Ci soffre, lo rivive. Perché sa perfettamente che nessuna carezza potrà mai alleggerire davvero quel peso. È il suo dolore, la sua croce. Ed è anche ciò che lo rende eterno. Perché in un mondo che dimentica in fretta, Roberto Baggio ha scelto di ricordare. Sempre.