La NBA chiude, il lockout ora è realtà

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Nba | foto tratta dal web

Quello che gli appassionati del basket NBA di tutto il Mondo speravano di evitare ora purtroppo è realtà: la Lega professionistica americana chiude i battenti ed ufficializza il lockout, la serrata che blocca ogni genere di esibizione sportiva degli atleti. Una notizia molto triste che getta nello sconforto milioni di tifosi che fino all’ultimo avevano sperato in un accordo in extremis da parte del comitato dei giocatori e di quello dei Presidenti, ma 3 ore di riunione non sono bastate per venire incontro alle reciproche esigenze.    

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Secondo indiscrezioni, inoltre, le brutte notizie non finiscono qui perchè pare che ad oggi trovare un accordo sia quasi impossibile. La Lega di basket americano è infatti in forte perdita economica, ben 22 delle 30 franchigie che disputano il campionato hanno chiuso l’ultimo esercizio in perdita e ciò è diventato un peso insostenibile per i Presidenti delle squadre che hanno chiesto agli atleti tagli dei lauti stipendi percepiti ed un salary cap rigido sul modello della NHL, con l’obbligo di restare nella soglia stabilita dalla Lega (attualmente oltre la metà delle formazioni sforano il cap di parecchi milioni di dollari, emblematico il caso dei Lakers che da 3 anni superano abbondantemente i 92 milioni di dollari per gli stipendi con il tetto salariale fissato a poco meno di 60 milioni!). I cambiamenti che i proprietari vorrebbero apportare non terminano qui perchè si è discusso di introdurre i contratti “non garantiti” (tutti quelli che c’erano fino ad ora invece avevano lo stipendio garantito) e, onde evitare accordi a lungo termine gravosi e poco sostenibili, si è parlato di una riduzione degli anni di contratto nella stipulazione dei nuovi (da 6 a 4 anni per i rinnovi, da 5 a 3 anni per la firma dei free agent) in modo che le squadre non siano vincolate a lungo termine e con spese più contenute. I giocatori però non intendono accettare queste proposte che li renderebbe la parte debole del rapporto, mettendoli in balìa delle decisioni dei Presidenti.     La situazione non è nuova in NBA dato che già nella stagione 1998-1999 fu proclamato il lockout, fortunatamente si trovò un accordo in extremis che permise di “salvare il salvabile” con una stagione di sole 50 partite che iniziò a febbraio del 1999 invece che nell’ottobre del 1998. La situazione però in questo momento pare molto diversa dato che secondo alcune dichiarazioni delle parti interessate il divario sarebbe incolmabile. Ed in tutta questa confusione generale i giocatori rischiano grosso perchè durante il lockout gli atleti non verranno pagati, non potranno usare i campi di allenamento e le strutture delle varie franchigie. Le squadre non faranno i camp estivi, le partite di esibizione, gli allenamenti, coaching session o meeting (le squadre inoltre non potranno fare trattative tra di loro per gli scambi di giocatori o firmare gli svincolati). Altro punto dolente è la probabile fuga delle “Star” NBA verso l’Europa per una stagione: ufficialmente nessun atleta potrebbe muoversi dagli States poichè i giocatori sono sotto contratto (potrebbero invece venire nel Vecchio Continente i cosiddetti free agent, coloro ai quali da oggi è scaduto il contratto) ma il fatto che le “Stelle” non vengano pagate dalle franchigie di appartenenza potrebbe lasciare aperta una porta verso l’Europa. Questo a dimostrazione della confusione (sportiva) che regna negli Stati Uniti e che rende ancora di più l’idea di quanto sia difficile il possibile accordo tra le parti in causa. La situazione sportiva in America è al limite del drammatico dato che 2 dei principali sport della Nazione sono in lockout: infatti oltre alla NBA anche la NFL (che resta il campionato che alla fine dei conti regala più profitti) è in lockout ed i motivi che stanno bloccando il mondo del football riprendono grosso modo quelli che ora sta affrontando il basket. Sarebbe una grave perdita, non solo sportiva, se il prossimo anno sia NBA che NFL non dovessero mettere in scena i rispettivi show, ovviamente con grosse ripercussioni di carattere economico che potrebbero ancora di più acuire la crisi in cui versano gli Stati Uniti.

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