Mou, sgarbo Real “Di Stefano? Sono io che alleno”

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Josè Mourinho

Dicono che ogni uscita di Mourinho sia studiata a tavolino, che ogni sua parola segue un disegno ben preciso e lo aiuta ad arrivare sempre al traguardo che si è prefissato. Sicuramente ad inizio stagione il tecnico portoghese aveva come obiettivo quello di entrare nella storia del Real Madrid, di sbarrare la strada al dominio del Barcellona del rivale Guardiola ed esser il primo allenatore a vincer la Champions League con tre club differenti.

Questi mesi nella Liga sono però stati difficilissimi per via dei diverbi interni con Valdano e il presidente Perez spesso contrario ad alcune esternazioni di Mou. Per poi continuare con i giornalisti e adesso con una leggenda del calcio madrileno come Alfredo Di Stefano. Se a questo aggiungiamo le indiscrezioni sulla scuola dei figli e il contatto con il personale che lavorara nella sua residenza milanese, lo schema dello Special One potrebbe aver una lettura… il divorzio dalla merengue e un ritorno in nerazzurro.

Intanto non rinuncia alla polemica e nella conferenza stampa del secondo Clasico consecutivo ribatte a Di Stefano e ovviamente ai giornalisti “La partita di domani non c’entra niente con la gara di sabato e con le semifinali di Champions League – ha detto Mourinho alla vigilia – Non ci sono favoriti, le due squadre hanno le stesse possibilità e mi aspetto che tutto vada bene sugli spalti. Ho giocato molte finali contro squadre inferiori e le gare sono sempre state equilibrate. Lo stesso è accaduto quando ho giocato contro formazioni più forti”

Il presidente onorario del Real Alfredo Di Stefano ha evidenziato la superiorità del Barcellona nel match di sabato. “Di Stefano è un pezzo di storia del Real Madrid, io non sono nulla. Bisogna solo rispettare le sue parole, non commentarle. Io sono l’allenatore e io decido”. Le critiche ricevute dalla stampa: “Domani giocheremo con 4 difensori, 3 centrocampisti e 3 attaccanti. Quando gli avversari avranno il pallone, ci difenderemo da squadra: vale a dire, in 11. Voi eravate abituati a una squadra che si difendeva in 6”.

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