Sciopero dei calciatori, come calpestare un diritto.

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Con l’ ennesima fumata nera tra l’ A.i.c  e la lega di serie A, il tanto temuto sciopero, o meglio, “astensione dall’ esercizio dell’ attività professionale”, come viene più dolcemente chiamato dall’ avv. Sergio Campana, è diventato realtà.

Le date di questa particolare “astensione” sono già fissate, l’ 11 ed il 12 dicembre, ma chi viene realmente danneggiato da questo sciopero? Sicuramente l’ art. 40 della Costituzione individua un iter difensivo da affidare al lavoratore, quando i suoi diritti all’ esercizio ed alla continuazione della sua attività lavorativa, vengono talmente ignorati e calpestati e non osservati, da rendere la continuazione della stessa assolutamente improponibile e impraticabile. È ovvio che, dal punto di vista giuslavoristico, quando in sede di stipulazione di un’ accordo collettivo la categoria professionale è chiamata a fissare i punti base di tale accordo, questa, ha tutto il diritto di “battersi” per l’ attuazione dei punti che ritiene più opportuni ma è altrettanto ovvio che, non si è mai visto, in sede di negoziazione, una chiusura talmente totale della categoria stessa da far sembrare, la protesta e lo sciopero degli operai di “mirafiori” una autentica bazzecola. Inoltre risulta essere ridicolo, da un punto di vista morale, battersi per un’ accordo collettivo, quando il proprio conto in banca supera almeno i sette zeri, ma questo si sa, in Italia che è il paese dell’ ipocrisia, succede anche questo.

La mediazione della federazione, capeggiata dal suo presidente Giancarlo Abete, era riuscita a risolvere alcuni dei punti controversi dell’ accordo, ma la discussione si è arenata, sulla ormai famosa norma che colpisce i giocatori messi fuori rosa dalle proprie squadre. Sarebbe inutile cercare di spiegare alla categoria dei calciatori, che il caso Pandev prima e Marchetti poi, dimostri come i calciatori hanno i mezzi e le istituzioni adeguate per far valere i propri diritti e che, tali mezzi si siano rivelati assolutamente vantaggiosi per i calciatori stessi. E sarebbe altrettanto inutile cercare di far comprendere alla categoria, che “lavorare” è un termine che, in questa particolare situazione, viene usato in maniera alquanto impropria e che quindi, si potrebbe cercare di trovare un’ accordo senza privare i “veri” lavoratori italiani, dello sport più amato e più seguito e che consente loro di non pensare, almeno per 90’, dei veri problemi che la vita quotidiana presenta giorno per giorno.

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