Autobiografia Almeyda, le flebo di Parma e la depressione all’Inter

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Matias Almeyda © Grazia Neri/Getty Images

E’ stato uno dei centrocampisti più forti della Serie A a cavallo tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio. Grande tecnica ma anche ritmi e abitudini tutt’altro che da atleta. Parliamo di Matias Almeyda, ex giocatore di Lazio, Parma, Inter e Brescia ora allenatore della gloriosa squadra argentina del River Plate. Nell’autobiografia “Almeyda, anima e vita” uscita in questi giorni, il 39enne argentino fa alcune rivelazioni piuttosto particolari del periodo in cui era in Italia. A partire di quando al Parma, squadra con la quale ha giocato dal 2000 al 2002, gli facevano fare delle flebo prima delle partite. Uno scandalo, questo, emerso qualche anno fa dopo un video girato nel quale si vedeva Fabio Cannavaro sdraiato su un lettino.

Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto – ha scritto nel libro Almeyda -. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato“. Quello in gialloblù sembra essere stato il suo momento più buio della sua carriera, e non solo per le flebo. Almeyda infatti racconta pure delle litigante con l’allora patron Stefano Tanzi e delle due macchine che di li a poco gli furono sottratte, una dalla polizia e l’altra dai ladri.

A Milosevic, lui pure in conflitto con la società e con un contratto alto come il mio, capitava lo stesso – ha scritto l’attuale allenatore del River Plate -. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all’interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c’era una manata sulla parete, fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro”. Si passa poi agli scontri con gli ultras, a quando circa una ventina di questi lo aspettavano all’uscita dello stadio dopo un gestaccio fatto nei loro confronti. Ma lui lasciò il Tardini nel baule della macchina dei suoceri e a quando qualche giorno dopo si fece accompagnare allo stadio da dei suoi amici rugbisti argentini per farsi proteggere.

Matias Almeyda © Grazia Neri/Getty Images

Non mancano i riferimenti al campo e a quel 3-1 dell’ultima giornata all’Olimpico in Roma-Parma che regalò lo scudetto ai giallorossi. Almeyda dice che alcuni dei suoi compagni dissero negli spogliatoi che volevano perdere la partita per fare un favore ai romanisti ma che la maggior parte, Sensini incluso, si rifiutarono, anche se in campo non tutti poi correvano come al solito. Quindi il passaggio all’Inter ma anche qui le cose non cambiarono. Lì infatti Almeyda cadde in depressione, complice anche due infortuni che non gli permisero per lungo tempo di calcare i campi da gioco.

Una psicologa ingaggiata dai nerazzurri tentò di aiutarlo diagnosticandogli attacchi di panico, ma lui inizialmente rifiutò la cura finché un disegno fatto dalla figlia non gli fece cambiare idea. Andò persino in coma etilico, quando si trovava nel suo Paese, dopo aver bevuto cinque litri di vino. Furono necessarie cinque flebo per farlo riprendere racconta lo stesso. Insomma un ricordo non troppo felice quello che Almeyda ha dell’Italia, almeno dal 2000 in poi.

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