Conte carica la Juve “Crediamoci”

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Antonio Conte

La conclusione del calciomercato ha consegnato ad Antonio Conte una Juve extralarge per via della mancate cessione e forse con qualche buco in difesa ma l’ex capitano e neo mister pur riconoscendo l’inferiorità attuale rispetto alle rivali in Italia e in Europa si dice pronto a lottare e a dare il massimo per la società che senta sua. Conte ha la pelle bianconera e lo si capisce da come interagisce con la stampa, dalla sintonia assoluta con i tifosi e da come interegisce ottendo fiducia e stima dallo spogliatoio. In una bella intervista concessa a Tuttosport e in edicola questa mattina il mister non si tira indietro non dando voti alla campagna acquisti ma promettendo impegno, idee, sudore e risultati. La JUve di Conte prima di diventare una perfetta macchina da guerra sopperiva al gap delle rivali proprio grazie a doti caratteriali fuori dal normale ed una grinta che incuoteva timore agli avversari. Di seguito vi proponiamo qualche stralcio dell’intervista tratta da Tuttosport.

Antonio Conte | ©Claudio Villa/Getty Images
Antonio Conte, la criti­ca ha promosso il mercato della Juventus e anche i tifosi, seppure con qualche riserva, hanno dato la suffi­cienza. Lei che voto dà? «L’unico voto che conta è quello che darà il campo. Inu­tile che commenti adesso: non servono altre parole, con­tano i gol». Beh, ma sarà soddisfatto o insoddisfatto? «Quello che si può dire è che è stato un mercato difficile per tutti, fotografia di un mo­mento critico del calcio italia­no: i campioni vanno via e non si riesce a ricomprarli. Questo vale per tutti, non so­lo per la Juventus. Nessuno può permettersi di spendere 30/40 milioni: non sono arri­vati Ibrahimovic, non sono arrivati Messi… Anzi, sono andati via Eto’o e altri gioca­tori importanti». La Juventus però ha inve­stito molto e comprato, nu­mericamente, tanto. «Abbiamo operato nel modo in cui era giusto operare per la Juventus, che significa co­struire il presente guardan­do al futuro. Per esempio ab­biamo chiuso operazioni con giocatori giovani ma nazio­nali, come Elia che ha 24 an­ni e costa il giusto, anche sot­to il profilo dell’ingaggio. Ab­biamo puntato tutto sulla vo­glia di ragazzi come Giacche­rini o come Estigarribia che hanno tanta fame, non han­no mai calcato palcoscenici importanti e da questo pun­to di vista sono una sicurez­za perché ci metteranno sempre l’anima». Una filosofia molto “Juve di Lippi”. «È la filosofia dell’umiltà. Lo dico sempre ai ragazzi, ci vuole l’umiltà di una provin­ciale, quella cattiveria, quel­la corsa, quella bava alla boc­ca». I maligni direbbero che an­che la rosa è da provincia­le… «In questo momento una so­cietà italiana non può per­mettersi di comprare un gio­catore da 40 milioni. A livel­lo economico non abbiamo la forza di offrire soldi ai club e ai campioni. I giocatori ce li comprano, non li compria­mo…». Come se ne esce? «Con un bagno di umiltà che coinvolga tutti quanti e pro­vando a percorrere altre strade. Non dobbiamo pensa­re di essere ancora i più bra­vi, perché Inghilterra e Spa­gna sono più avanti, inutile nasconderselo. E con lo sco­prire valori trascurati, come la cultura del lavoro e di tro­vare il risultato attraverso il gioco. Perché la cultura del solo risultato non basta più: dobbiamo iniziare a pensare al cambiamento per insegui­re gli altri. Guardate le pri­me uscite di coppa… Anche i tifosi devono capirlo». Cosa? «Che è meglio avere una squadra che gioca a calcio e il risultato sarà una conse­guenza. Perché viceversa, pensando solo al risultato, ti può andare bene una volta, due, tre, ma alla fine il truc­co non funziona se non ci so­no impianto di gioco e collet­tivo». Che definizione si dà come allenatore? «Un grande lavoratore di campo. Io ho bisogno del campo, è il mio habitat natu­rale. E il mestiere di allena­tore per me è totalizzante». Quando non fa l’allenatore cosa fa? «Penso a come fare l’allenato­re ancora meglio. Mi rendo conto che in questo modo tra­scuro anche la famiglia… Forse è per questo che mi de­finiscono rompipalle. Io chie­do il massimo a me stesso e quindi pretendo il massimo anche dagli altri». È vero che è maniacale nel­l’applicare le sue teorie? «Quando uno ha un’idea di calcio cerco di proporla ed es­serle fedele, soprattutto per­ché nel passato questa idea mi ha portato a conquistare due promozioni in serie B su quattro che ho disputato… Ma il campo rimane l’unica filosofia. È sul campo che cerco di convincere i giocato­ri a seguirmi. Dico loro: non eseguite quello che vi dico perché lo chiedo io, ma per­ché ci credete e se non siete convinti chiedetemi. Per me è fondamentale che loro mi chiedano».

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